Crotone - Monizzi: «Il lungomare nasce dal rapporto con Capocolonna»
Crotone – Non si può affrontare il tema del lungomare senza parlare con chi ha riprogettato e ridisegnato viale Cristoforo Colombo. Per questo motivo siamo andati a disturbare l’architetto Giuseppe Mo...

Crotone – Non si può affrontare il tema del lungomare senza parlare con chi ha riprogettato e ridisegnato viale Cristoforo Colombo. Per questo motivo siamo andati a disturbare l’architetto Giuseppe Monizzi che, all’epoca del sindaco Senatore, fu il progettista del nuovo lungomare.
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Qual era la visione del lungomare che doveva nascere?
Questo lungomare nasce dal rapporto tra la città e Capocolonna. Se qualcuno avesse modo di vederlo dall’alto scoprirebbe che il lungomare riprende i fasci di luce del faro di Capocolonna. I più bei lungomari del mondo non hanno l’orizzonte davanti ma hanno qualcosa da traguardare: Reggio Calabria ha Messina, Napoli ha Capri, Crotone ha Capocolonna.
Questo lungomare è quindi ispirato al faro di Capocolonna. Le piazzette sugli incroci, sono quattro dedicate ai quattro punti cardinali, hanno dei triangoli bianchi di base che riprendono proprio i giochi di luce del faro.
All’epoca fece scalpore. I coomercianti per protesta portarono le chiavi dei propri esercizi al Comune. Allora non capivano, Senatore seppe guardare avanti e ha resistito alle proteste. Il paradosso è che se oggi agli stessi commercinti dicessi di tornare al lungomare di prima, rischieresti il linciaggio. In pochi sanno che il lungomare era una strada statale, ne è prova la casa cantoniera, o la famosa casa rossa, chiamata così perchè prima lì c’era una casa cantoniera. Una strada statale per auto e camion. Non c’era l’idea del waterfront, dell’affaccio a mare. Abbiamo avuto la visione di parlare del rapporto che la città doveva avere con il mare. Questa è stata una vera rivoluzione.
Che ricordo ha di quei lavori?
Ricordo sempre che avremmo dovuto consegnare i lavori entro la festa della Madonna. Tre mesi per fare quattrocento metri di lungomare. E siamo andati un po’ lunghi e alla festa siamo arrivati con qualche accorgimento perchè i lavori non erano ancora terminati. Senatore era furoioso, ma la sera dell’inaguruazione, davanti a quel mare di persone, ha voluto che salissi con lui sul palco.
C’è un modello a cui si è ispirato?
Si ai boulevard francesi, visti a Parigi. Qui era tutto un gioco di alberi e cespugli, proprio come le boulevard francesi. Ma se quando un albero muore non viene sostituito, o un cespuglio non viene curato, alla fine il gioco si perde. Ci inventammo anche il sistema di autopulizia. Con l’eliminazione dei platani (che ahimè erano stati potati mali e quindi crescevano non in altezza ma in larghezza diventando pericolosi), volevamo creare un sistema che tenesse pulita la strada e contemporanemente creasse un po’ di frescura. All’epoca c’era ancora chi viveva al piano terra e noi per evitare la famosa pompa che la vecchietta utilizzava per bagnare il marciapiede davanti casa per mitigare il caldo, adottammo lo stesso sistema che serve per irrigare i campi di calcio con degli ugelli che si alzavano accanto agli alberi. Questo sistema serviva sì per rinfrescare l’aria e la pavimentazione ma anche per lavarla, come a Parigi dove hanno un sistema di lavaggio delle strade dove viene organizzato lo scolo dell’acqua per, per esempio, trasportare con i rivoli d’acqua la cicca di sigaretta fino alla caditoia. E noi avevamo organizzato le pendenza proprio per poter lavare.
Una delle cose che ha fatto e ancora fa discutere è la scleta del porfido come materiale della pavimentazione.
Lo ricordo benissimo. Una scelta molto criticata. Io avrei voluto pavimentarla con il cotto, cuocendo la terra delle nostre montagne, così sarebbe stata solamente un’isola pedonale, poi però sapevo che non saremmo stati capaci di bloccare il passaggio delle auto e quindi optai per il porfido con cui abbiamo ricostuito le linee ondulate che il mare lascia sulla battigia. E scegliemmo il porfido rosso per riprendere il colore della nostra spiaggia.
Che cosa è andata male?
Il vero problema si chiama manutenzione. Se non si fa tutto è destinato a rovinarsi. L’economia non si può fare quando c’è il cantiere, ma va fatta dopo che l’opera è completata. Nulla si autocenserva, va sempre curato.
Gianfranco Turino