Benchmarking nel marketing: cos’è, come si fa e perché serve a crescere davvero

Nella competizione di mercato contemporanea, crescere non significa solo migliorare i propri processi interni, ma anche capire...

A cura di Redazione
13 maggio 2025 09:53
Benchmarking nel marketing: cos’è, come si fa e perché serve a crescere davvero -
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Nella competizione di mercato contemporanea, crescere non significa solo migliorare i propri processi interni, ma anche capire come ci si posiziona rispetto agli altri. È qui che entra in gioco il benchmarking, una pratica tanto utile quanto spesso trascurata, che consente alle aziende di misurarsi con i competitor più forti per individuare margini di miglioramento e opportunità concrete di sviluppo. In ambito marketing, il benchmarking diventa un esercizio strategico capace di generare valore, perché aiuta a orientare le scelte sulla base di evidenze, evitando valutazioni autoreferenziali.

Una delle condizioni essenziali per realizzare un benchmarking efficace è partire da un’analisi accurata del contesto. E questo significa avere a disposizione dati solidi, affidabili, attuali. Le ricerche di mercato – in merito a cui segnaliamo un approfondimento interessante su centralmarketingintelligence.it – rappresentano, da questo punto di vista, una risorsa imprescindibile: consentono di comprendere tendenze di consumo, comportamenti degli utenti, percezioni di marca e, in generale, il quadro competitivo in cui si opera. Senza una base informativa concreta, il rischio è quello di confrontarsi “a vista”, senza reale consapevolezza delle dinamiche in atto.

Ma cos’è esattamente il benchmarking? In termini semplici, è il processo attraverso il quale un’azienda confronta le proprie performance, strategie o processi con quelli di altre realtà – concorrenti diretti, aziende leader o anche soggetti esterni al proprio settore – per individuare le best practice da cui trarre ispirazione.

Nel marketing, il benchmarking può riguardare vari aspetti: dai budget investiti in advertising alla struttura delle campagne, dal tono di voce usato nella comunicazione ai canali prediletti, dalla frequenza delle pubblicazioni ai livelli di engagement ottenuti sui social. Ogni elemento può essere misurato, confrontato e valutato in relazione agli obiettivi dell’azienda.

Esistono diverse tipologie di benchmarking. Il più diffuso è il competitivo, che confronta le strategie di aziende dello stesso settore. Il funzionale, invece, analizza un determinato processo anche in ambiti diversi (per esempio, come viene gestito il customer care in settori differenti). Il generico si concentra su aspetti trasversali come l’efficienza organizzativa o la comunicazione interna, mentre il collaborativo prevede lo scambio diretto di dati tra aziende consenzienti, spesso con l’intermediazione di associazioni o enti di ricerca.

Un esempio concreto: un’azienda che desidera lanciare un nuovo prodotto può avviare un’analisi comparativa sulle campagne di lancio realizzate dai principali concorrenti nell’ultimo anno. Potrà osservare quali leve comunicative sono state utilizzate, quali canali hanno dato i risultati migliori, come è stato strutturato il funnel di conversione, quali strumenti di marketing automation sono stati impiegati. Tutto questo per poi progettare una strategia più informata, evitando errori già commessi da altri o replicando formule di successo, adattandole al proprio stile.

Un aspetto importante è che il benchmarking non è un’attività spot. Per essere davvero utile, deve essere integrato in un processo continuo di miglioramento. Serve a fare il punto, ma anche a tracciare una rotta. Inoltre, permette di individuare indicatori di performance (KPI) più realistici, coerenti con le logiche di settore e non basati su mere aspettative interne.

Spesso il benchmarking viene sottovalutato perché percepito come troppo complesso o dispendioso. Ma oggi esistono strumenti digitali che rendono l’attività molto più accessibile. Dashboard comparative, piattaforme di competitive intelligence, database settoriali e strumenti di monitoraggio dei competitor (come quelli che analizzano il traffico web, le keyword, la reputation online) permettono di raccogliere e analizzare dati in modo rapido e sistematico.

Un altro punto centrale riguarda la corretta lettura dei dati. Confrontarsi con chi è più grande o ha più risorse può portare a valutazioni scoraggianti o fuorvianti. Ecco perché il benchmarking deve sempre tener conto delle specificità aziendali: budget, target di riferimento, maturità digitale, assetti organizzativi. Non si tratta di inseguire i big del mercato, ma di misurarsi con obiettivi realistici, calati nella propria realtà.

Anche nel settore B2B il benchmarking assume un ruolo chiave. Pensiamo alle aziende che operano in mercati verticali e che vogliono affinare le proprie strategie di lead generation o di posizionamento. Conoscere le mosse dei competitor, i canali preferiti, i formati più usati nelle campagne o le partnership strategiche può fare la differenza tra una crescita organica e una stagnazione operativa.

Il benchmarking, infine, è anche uno strumento culturale. Spinge l’azienda a guardarsi dall’esterno, ad abbandonare logiche autoreferenziali e a ragionare in chiave sistemica. Favorisce una mentalità orientata all’apprendimento continuo e all’innovazione incrementale, in cui il miglioramento passa anche dall’umiltà di riconoscere cosa funziona altrove.

In conclusione, il benchmarking nel marketing non è un esercizio teorico né una moda manageriale. È un metodo concreto per crescere, evolversi, restare competitivi. Per funzionare davvero, deve poggiare su basi solide – come le ricerche di mercato – e tradursi in azioni consapevoli. Confrontarsi non significa perdere identità, ma rafforzarla attraverso la conoscenza. E oggi, più che mai, conoscere il mercato è la chiave per navigarlo con lucidità e visione.

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