Il Garante regionale dei detenuti: «Superiamo il pregiudizio culturale»
[media id="13079"]Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Cita così l’articolo 27 della Costituzione italiana. Le...

Di cosa si occupa esattamente il Garante Regionale dei detenuti?
La legge regionale del 2018 che ha istituito il Garante dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale in Calabria, oltre ad essere ben scritta, ha recepito i principi fondamentali in materia sanciti dalla Carta Costituzionale e dalle Convenzioni internazionali. I destinatari della legge sono le persone ristrette negli istituti penitenziari, quelle in esecuzione penale esterna, le persone sottoposte a misure cautelari personali, in stato di arresto ovvero di fermo, quelle sottoposte a misure di prevenzione, quelle ricoverate nelle residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza, quelle ricoverate nelle comunità terapeutiche o strutture assimilate, le persone presenti nelle strutture sanitarie perché sottoposte a trattamento sanitario obbligatorio, nonché le persone trattenute in qualunque altro luogo di restrizione o limitazione della libertà personale. Si aggiungano gli stranieri extra-comunitari irregolari ospitati nei centri di permanenza per i rimpatri. Il Garante regionale, chiamato ad operare in piena autonomia e con indipendenza di giudizio, non è sottoposto ad alcuna forma di controllo e può richiedere alle amministrazioni responsabili, senza che da ciò possa derivare danno per le attività investigative, le informazioni e i documenti necessari. Inoltre ha diritto di accesso o visita senza autorizzazione alle strutture e di comunicazione con le persone nei luoghi e istituti dove esse si trovano.
Qual è la situazione delle case circondariali calabresi? C’è un sovraffollamento anche nelle nostre carceri?
Gli istituti penitenziari calabresi sono 12, cui occorre aggiungere un Istituto Penale Minorile e due residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza (Rems). I dati riguardanti gli istituti di pena segnalano la presenza di 2.684 detenuti, tra cui 55 donne e 535 stranieri. I detenuti in attesa di primo giudizio sono 612, i condannati non definitivi 464, quelli definitivi 1.600. Quanto al sovraffollamento, gli istituti calabresi non hanno problematiche di questo tipo in quanto formalmente non superano la capienza regolamentare massima stimata in 2.704 unità. E’ evidente, tuttavia, che la differenza è esigua, che i posti sono calcolati in ragione di un criterio standard opinabile e che in molti casi il limite di quattro posti per stanza non è rispettato.
Il personale è adeguato nel numero e nelle professionalità? I servizi sono efficienti e garantiti?
L’inadeguatezza numerica del personale è stata evidenziata in più sedi e da più parti. La carenza degli organici mette a rischio la gestione della sicurezza e determina una riduzione delle prestazioni minime e dei livelli essenziali di assistenza. Senza considerare che le lacune della sanità penitenziaria, unitamente all’assenza di figure professionali specifiche, assumono una rilevanza decisiva per i detenuti con fragilità psicologiche o patologie psichiatriche. Le criticità evidenziate hanno inciso non poco sul fenomeno dei suicidi e degli atti autolesionistici che hanno registrato un forte aumento anche in Calabria.
Quali saranno i suoi obiettivi?
Gli obiettivi che mi propongo sono due. Il primo è quello di ridurre le situazioni di vulnerabilità e di tutelare i diritti fondamentali della persona detenuta affinché gli stessi non rimangano mere affermazioni di principio. Mi riferisco alla presunzione di innocenza, al diritto alla salute, al diritto a spazi adeguati, al diritto al lavoro, allo studio e al reinserimento sociale, al diritto di praticare il culto religioso, al diritto alle relazioni e agli affetti familiari, al diritto a poter usufruire di mediatori culturali. Il secondo è quello di fornire un contributo al superamento del pregiudizio culturale che colpisce tutti i detenuti, etichettati personalmente e socialmente. Nell’immaginario collettivo chi ha vissuto un’esperienza carceraria continua ad essere percepito come un soggetto pericoloso, in conflitto con la legge, quali che siano le ragioni che lo hanno indotto al crimine e qualunque sia il percorso di recupero effettuato. Questi due obiettivi, l’effettività dei diritti e lo scoglio culturale, potranno essere realizzati solo attraverso un monitoraggio costante delle condizioni di vita dei detenuti e una campagna di sensibilizzazione dell’opinione pubblica e della società civile. La creazione di una rete permanente, che il mio Ufficio cercherà di promuovere, e la costruzione dei programmi di giustizia riparativa (previsti dalla riforma Cartabia) rappresenteranno strumenti importanti ed assai utili.